“Insieme con la vostra famiglia e con altri Ebrei appartenenti alla vostra casa, sarete trasferiti. Bisogna portare con sé viveri per almeno 8 giorni. Tessere annonarie. Carta d’identità. Bicchieri. Si può portare via una valigetta con effetti e biancheria personale. Denaro e gioielli. Chiudere a chiave l’appartamento. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto, la famiglia deve essere pronta per la partenza.”
Il 16 ottobre 1943 resta nella storia e nella memoria di Roma.
Il tenente colonnello della SS Kappler, comandante della Gestapo a Roma, ricevette ordini dall’alto ben precisi: tutti gli Ebrei sarebbero stati trasferiti in Germania e lì sterminati. Il successo dell’impresa sarebbe stato assicurato solo mediante un’azione improvvisa e a sorpresa.
Fu così che nel settembre del ‘43, furono convocati i rabbini, intimando loro la consegna entro 36 ore di 50 chilogrammi d’oro. In cambio, Kappler promise l’incolumità.
La voce si sparse immediatamente al centro di raccolta e ognuno contribuì, tanto che l’affluenza andò man mano sempre più aumentando. Tutti decisero che per il bene della Comunità sarebbe stato giusto privarsi di oggetti preziosi e tanti Romani, pur non essendo ebrei, vollero aiutare.
Dopo una proroga di quattro ore, finalmente fu raggiunto e superato il quantitativo richiesto. Kappler fece pesare per ben due volte l’oro: gli Ebrei gli avevano consegnato 50 chili e 300 grammi di oggetti d’oro.
Gli Ebrei romani si fidarono dei Tedeschi e si sentirono al sicuro da ogni ulteriore persecuzione.
L’oro fu spedito in Germania a Ernst Kaltenbrunner, successore di Heydrich a capo dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich. Ma lui non aveva alcuna intenzione di risparmiare gli Ebrei: la cassa con i 50 chili d’oro fu ritrovata intatta nel suo ufficio.
Infatti, nei giorni successivi le SS occuparono gli uffici della comunità ebraica, rubando tutto quello che poterono: le due grandi biblioteche ebraiche vennero saccheggiate e materiale di immenso valore culturale fu spedito in Germania, compresa la raccolta degli antichi papiri di inestimabile valore.
Grazie al censimento degli Ebrei svolto anni prima da Mussolini, furono trovati gli elenchi completi con i nomi e gli indirizzi degli Ebrei romani: bisognava solo stanarli e deportarli in massa. E così avvenne all’alba del 16 ottobre 1943, un sabato, giorno sacro agli Ebrei che fu scelto appositamente per amplificare l’effetto sorpresa.
Un centinaio di uomini della Gestapo, la polizia tedesca, compì “il rastrellamento del Ghetto di Roma” tra le 05:30 e le 16.00, bloccando tutti gli accessi stradali.
Iniziarono l’evacuazione di un isolato per volta, radunando man mano le persone rastrellate in strada, bussando con violenza alle porte, spuntando man mano la lista dei cognomi e degli indirizzi a uno a uno. Anziani, invalidi, malati furono gettati con violenza fuori dalle loro abitazioni, i bambini terrorizzati si aggrappavano alle madri, tutti imploravano pietà. Alcuni di loro, i non trasportabili, vennero uccisi nei loro stessi letti.
Cittadini romani vennero caricati in camion militari coperti da teloni e portati via. La retata durò ore nel vecchio ghetto e in altri quartieri della città.
Qualcuno riuscì a fuggire, qualche mamma riuscì a salvare il proprio figlio mettendolo nelle braccia di un’altra madre, cristiana: tanti cittadini romani si adoperarono, a rischio della propria vita, a mettere in salvo gli Ebrei di Roma e alcuni istituti religiosi aprirono le porte agli scampati per iniziativa personale di preti e suore. Ma l’epilogo di quella mattina fu tragico, 1022 ebrei, di cui 274 bambini, vennero rastrellati e deportati ad Auschwitz. Il viaggio durò 5 giorni, durante i quali prigionieri vennero tenuti senza mangiare e senza bere. Neppure quelli che morivano venivano scaricati. E alla fine il treno, col suo macabro carico, arrivò ad Auschwitz.
In alto sapevano? Certamente, anche se solo per mera cortesia, Mussolini e Pio XII furono avvisati. Il Papa tentò, senza alcuna autorevolezza, di intercedere presso l’ambasciatore per fermare l’azione. Un tentativo troppo blando per avere la sua efficacia…
La cattura degli Ebrei continuò per tutti e nove mesi dell’occupazione tedesca. Altri 747 Ebrei furono arrestati e mandati ad Auschwitz. Buona parte di loro erano quei giovani uomini che erano riusciti a scappare al primo rastrellamento.
Senza contare poi l’eccidio delle Fosse Ardeatine…
A Roma in quel 1943 risultavano abitare circa 13.000 Ebrei e circa l’83% di loro si salvò nascondendosi in campagna o da persone di buon cuore, di gran coraggio, alcuni perfino in casa di fascisti che non condividevano le persecuzioni ebraiche, altri si rifugiarono in chiese e conventi. Alcuni si erano uniti alla resistenza.
Ma non tutti furono “Italiani brava gente” (cit. film di Giuseppe De Santis, 1964) in quei nove mesi di occupazione: se gli Ebrei nascosti furono scovati lo si deve ai cosiddetti delatori, che segnalavano ai nazisti i nascondigli.
Una taglia sugli Ebrei, come sui ricercati nel far west: 1500 lire per un bambino, 3000 per una donna e fino a 5000 lire per un uomo. E con il “saper fare” anche di più.
Un ebreo “venduto” e pagato, poteva essere aiutato a fuggire dal medesimo delatore dietro compenso e poi fatto riarrestare: insomma con una fava, tre piccioni!
È stata ricostruita la lista nera di quanti contribuirono a vendere gli ebrei: gli elenchi relativi alla città di Roma sono consultabili presso gli uffici della comunità ebraica e non soltanto dagli studiosi. Tra di essi “brilla” la “Stella di Piazza Giudia”, una ebrea romana – Celeste di Porto – così soprannominata per la sua bellezza. Per proteggere la sua vita e per denaro, collaborò attivamente con i Tedeschi e consegnò nelle loro mani ben 26 Ebrei, tra cui anche Lazzaro Anticoli, un promettente pugile venduto in cambio della salvezza del fratello. Detenuto a Regina Coeli, scrisse su un muro della cella: “Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mia è colpa de quella venduta de Celeste. Arivendicateme”
Chi erano i “rastrellati” del 16 ottobre 1943? Soprattutto anziani, donne e 207 bambini. Di quei deportati ne tornarono soltanto 16, tra di essi nessun bambino; solo 15 uomini e una donna: Settimia Spizzichino che fu una grande testimone della Shoah:
“Io della mia vita voglio solo ricordare tutto, anche quella terribile esperienza di Auschwitz. Per questo credo sono tornata. Per raccontare”.
Anna Maria
Visita guidata tematica: Segreti e misteri del Ghetto ebraico