Tra i registi italiani di cui andar fieri, uno su tutti emerge per fantasia, creatività e, non ultimo, il numero di premi internazionali collezionati: Federico Fellini, vincitore di ben 5 premi Oscar e innumerevoli altri riconoscimenti a livello mondiale.
Di tutti questi encomi, il più strambo di tutti è stato forse il veder coniato un aggettivo derivante proprio da lui, “felliniano”. Lo stesso regista, riguardo a questa parola, commentò ironicamente così: «Cosa intendano gli americani con “felliniano” posso immaginarlo: opulento, stravagante, onirico, bizzarro, nevrotico, fregnacciaro. Ecco: fregnacciaro è il termine giusto».
Tuttavia, nonostante questo amore mai nascosto che Hollywood nutriva per lui, l’abitudinario regista de “La Dolce Vita” preferiva molto di più restare a Roma, città che lo aveva oramai adottato e che da lui si lascerà rappresentare in modi diventati iconici.
Pigro e anche un po’ indolente, si definiva, tanto che, fosse stato per lui, non sarebbe mai uscito fuori dal triangolo Margutta-Fregene-Cinecittà.
E proprio a Via Margutta si era stabilito dal lontano 1943 con la moglie Giulietta Masina, musa ispiratrice di molte sue pellicole, e lì aveva trovato la sua dimensione, tanto da stabilire un suo personale “ufficio” improvvisato a pochi metri da casa, al Caffè Canova di Piazza del Popolo.
Qui, il regista beveva una spremuta di mandarini – la sua preferita! – e, con penna e taccuino, passava una mezz’ora ridendo e scherzando con gli avventori, per poi dirigersi in taxi a Cinecittà, altro luogo del cuore.
Le abitudini a cui era così legato lo portarono addirittura a “perdersi” la vittoria del secondo Oscar!
La storia è buffa: fresco vincitore dell’Oscar al miglior film straniero nel 1957 con “La strada”, Fellini viene candidato nuovamente l’anno dopo, con il commovente “Le notti di Cabiria”. Tutti però sanno che le probabilità per un regista di vincere un Oscar per due anni di fila sono praticamente nulle. Così, Federico, ben contento, decide di non presentarsi proprio alla cerimonia e restarsene in pantofole a casa sua.
Contrariamente, quel peperino di Giulietta Masina, protagonista straordinaria del film, ha un presentimento, e decide che almeno lei avrebbe presenziato.
E così, quando “Le notti di Cabiria” vince il premio Oscar come Miglior film straniero, sarà proprio lei, gonfia d’orgoglio, a ritirarlo a nome di tutti gli addetti a quel capolavoro.
Come avrà reagito Fellini? Da quello che sappiamo, un po’ infastidito perché la Masina, al party dopo gli Oscar, aveva avvicinato Clark Gable, suo mito di gioventù, per chiedergli un autografo. Al che l’attore americano, osservandola mentre ancora teneva la statuina in mano, le aveva risposto: «Ma signora Masina, semmai sono io che devo chiederlo a lei!».
Fellini, un po’ indispettito al racconto emozionato della moglie, aveva risposto: «Ma chi, Gable? Con quelle orecchie a sventola?».
A quel punto, possiamo immaginarli tutti e due scoppiare a ridere insieme, probabilmente seduti a un tavolo del Caffè Canova, che ancora oggi si affaccia su Piazza del Popolo, concedendo ai suoi avventori il lusso di una pausa per ammirare, osservare, curiosare tra il chiasso, i passanti, il marasma di turisti, le mille stranezze che fanno di Roma una città unica, affascinante, stimolante. Tutto ciò che aveva fatto innamorare il grande regista, al cui ricordo ancora oggi, nel “suo” Caffè Canova, è dedicata una galleria fotografica: la Galleria Federico Fellini.
Giulia Faina
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